(Italiano) ***ARTICOLO*** Riforma della prescrizione: gli eventuali profili di incompatibilità costituzionale, con il diritto dell’Unione Europea e con la CEDU e la relativa rilevabilità processuale – Avv.ti Mirco Consorte e Riccardo Perona

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(A cura degli Avv.ti Mirco Consorte e Riccardo Perona (IgiTo). N.B.: Le opinioni espresse sono presentate a titolo personale dall’Autore e non riflettono necessariamente la posizione di IgiTo sul tema esposto. Le informazioni presentate hanno carattere generale e divulgativo e non sostituiscono in alcun modo l’assistenza di un professionista. Per informazioni: info@igito.it)
1. La questione
Come noto, entra in vigore oggi (1° gennaio 2020) la riforma dell’istituto della prescrizione approvata con legge 9 gennaio 2019, n. 3.
Dinanzi alle numerose voci polemiche che hanno accompagnato a suo tempo l’adozione della nuova disciplina e che si sono di recente riaccese in prossimità della sua entrata in vigore, si intende qui offrire qualche spunto – in una prospettiva strettamente giuridica e al netto delle considerazioni del legittimo dibattito politico – per verificare se e in che misura la riforma ponga problemi di compatibilità con i parametri costituzionali, sovranazionali (UE) e internazionali (CEDU) che il legislatore è tenuto a rispettare ex art. 117 comma 1 Cost., nonché in che modi e termini eventuali profili di incompatibilità potrebbero concretamente essere rilevati in sede processuale.
2. Il dettato normativo
Limitatamente a quanto qui strettamente interessa, l’art. 1 comma 1, lett. f) della legge n. 3/2019 dispone che il secondo comma dell’art. 159 del codice penale sia sostituito dal seguente:
Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna”.
Ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, come già anticipato, tale modifica entra in vigore il 1° gennaio 2020.
3. La riforma alla luce dei principi costituzionali

 

3.1. Potenziali criticità
Dal punto di vista costituzionale, i principali aspetti di potenziale problematicità che paiono ravvisabili in relazione al nuovo secondo comma dell’art. 159 c.p. sembrano riconducibili ai quesiti di seguito indicati.
a) Che idea riflette la nuova disciplina per quanto attiene alle funzioni del diritto penale?
Andrebbe in altri termini accertato se la novella legislativa si ponga nella direzione di un diritto penale inteso quale strumento di accertamento di responsabilità ovvero – in termini che potrebbero giustificare dubbi di legittimità costituzionale – quale puro strumento di “lotta”.
b) Come si atteggia la riforma in relazione ai principi di necessaria ragionevolezza e proporzionalità della risposta sanzionatoria dello Stato (art. 3 Cost.)?
Andrebbe cioè chiarito se la previsione di una possibile sottoposizione a processo senza termine definito non costituisca un eccesso irragionevole e sproporzionato dal punto di vista della risposta sanzionatoria dello Stato.
Ciò sarebbe particolarmente evidente con riferimento ai reati meno gravi: aspetto che potrebbe richiamare dubbi di compatibilità con il principio di ragionevolezza anche sotto altro profilo, ossia quello dell’irragionevole assoggettamento alla medesima disciplina di situazioni fattuali particolarmente differenti.
In questo senso, la riforma potrebbe suscitare perplessità nella misura in cui prevede la sospensione della prescrizione per tutti i processi, senza distinzioni relative, ad esempio, alla maggiore o minore gravità per i reati per cui si procede.
c) Come si atteggia la riforma in relazione ai principi del “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost., in primis quello di ragionevole durata del giudizio?
La questione assume particolare rilevanza specie nella misura in cui una sospensione potenzialmente sine die della prescrizione si potrebbe considerare non già una semplice riforma, ma pressoché una “abrogazione” de facto dell’istituto.
d) Come si atteggia la riforma in relazione alla presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.?
Andrebbe in altri termini accertato se la nuova normativa non rischi di profilare uno slittamento dal principio in dubio pro reo a uno, opposto e difforme da quanto indicato dai precetti costituzionali, per cui il dubbio favorisce la potestà punitiva dello Stato.
e) Come si atteggia la riforma in relazione ai principi di legalità e tassatività?
Il quesito assume particolare rilevanza nell’ordine di idee, sostenuto in dottrina, per cui la stessa sottoposizione a processo sarebbe già di per sé considerabile una pena, peraltro senza previa condanna.
f) Come si atteggia la riforma in relazione con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.?
In particolare, vi sarebbe da considerare se la riforma possa pregiudicare l’esercizio effettivo del diritto in questione.
g) Come si atteggia la riforma in relazione ai principi regolanti la finalità rieducativa della pena di cui al comma 2 dell’art. 27 Cost.?
 La questione si deve porre in rilevanza nel momento in cui si pensa al risvolto pratico di una condanna che perviene in capo al soggetto a distanza assai considerevole sia dalla commissione del fatto, sia dal primo grado di giudizio; la potenziale lontananza temporale vanificherebbe infatti il fine di rieducazione (meglio sarebbe parlare di reinserimento sociale) lasciando intatta la sola finalità retributiva.
3.2. Rilevabilità processuale
Dal punto di vista della possibilità di rilevare i profili menzionati o altri rilevanti dal punto di vista costituzionale, la via essenziale resta quella della prospettazione da parte del giudice penale, anche su istanza di parte, di una questione di legittimità avanti la Corte costituzionale.
Questo potrebbe avvenire per i primi fatti commessi dopo la mezzanotte di oggi (1° gennaio 2020) e che per primi perverranno a condanna di primo grado, ossia agli arresti in flagranza di reato per i quali si procederà con rito direttissimo con contestuale convalida dell’arresto il giorno 2 gennaio.
Se, da un lato, può porsi la questione sull’interesse legittimante la proposizione della richiesta di valutazione incidentale di costituzionalità, stante il fatto che l’interruzione della prescrizione interviene con l’emissione della sentenza e, dunque, fino ad allora il diritto non pare potersi considerare leso va, comunque, tenuto da conto che la prospettata violazione delle norme della Carta fondamentale sopraindicate si concretano al momento stesso della lettura del dispositivo e, pertanto, contestualmente alla risoluzione nel merito del caso al vaglio del Giudice non appare peregrina fin dal primo giorno di vigore della riforma porre e proporre la questione di legittimità costituzionale; gli imputati che saranno soggetti ai procedimenti per direttissima il 2 di gennaio con emissione di sentenza di primo grado, evidentemente, saranno i primi a poter essere potenzialmente “imputati a vita” e, dunque, i primi che rischieranno di subire la perpetua condanna ad processum.
4. Riforma e diritto dell’Unione Europea
 
4.1. Potenziali criticità
Alcune norme della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – che, come noto, dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona ha assunto lo stesso valore vincolante dei Trattati, divenendo quindi parte integrante del diritto primario dell’Unione – recano principi analoghi a quelli costituzionali sopra richiamati e, in questo senso, potrebbero suggerire simili dubbi di compatibilità.
Fra questi, giova ricordare il principio di presunzione di innocenza (art. 48 della Carta), il principio di legalità (art. 49), il diritto a un ricorso effettivo e a una decisione in un termine ragionevole (art. 47).
4.2. Rilevabilità processuale
Per quanto attiene alla possibilità di rilevare eventuali incompatibilità fra il diritto nazionale e quello dell’Unione, con specifico riferimento alla fattispecie in esame pare pertinente un richiamo al noto caso Taricco.
In quell’occasione, è noto che la Corte di giustizia dell’Unione aveva ammesso la possibilità di disapplicare proprio le norme sulla prescrizione previste dalla legge nazionale se ritenute incompatibili con il diritto dell’UE.
Ora, in quel caso, si trattava di una disapplicazione in malam partem (disapplicazione di un termine di prescrizione ritenuto troppo breve e, pertanto, tale da pregiudicare la tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione: sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, dell’8 settembre 2015, nella causa C‑105/14). Questo, come noto, aveva suscitato dubbi da parte della Corte costituzionale italiana, che aveva ritenuto legittima la disapplicazione della norma nazionale ritenuta incompatibile con il diritto dell’UE ma solo nella misura in cui ciò non pregiudicasse diritti che all’imputato fossero riconosciuti dall’ordinamento costituzionale nazionale: ricostruzione, questa, poi condivisa anche dalla Corte di giustizia dell’UE, proprio su rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale italiana (sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 5 dicembre 2017, nella causa C‑42/17).
Orbene, nel caso che ci occupa, l’eventuale disapplicazione della norma nazionale che reca la riforma della prescrizione non sarebbe certamente incompatibile con diritti dell’imputato – giacché, a differenza di quanto avveniva nel caso Taricco, si tratterebbe di disapplicazione in bonam e non in malam partem – e, quindi, v’è da ritenere che a tale disapplicazione si potrebbe senz’altro fare luogo in virtù del principio enunciato nel caso Taricco.
Va da ultimo precisato che a tale disapplicazione potrebbe provvedere direttamente il giudice penale, salvo l’eventuale preliminare rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
5. Riforma e CEDU
5.1. Potenziali criticità
Criticità analoghe a quelle sopra riportate emergono in relazione agli articoli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che consacrano principi e diritti in linea con quelli già evidenziati a livello costituzionale e di Unione Europea.
In questo senso, rilevano il diritto all’equo processo, al termine ragionevole e il principio di presunzione di innocenza (art. 6) nonché il principio di legalità (art. 7).
5.2. Rilevabilità processuale
È noto che alla Corte europea dei diritti dell’uomo, organo giurisdizionale cui compete l’accertamento delle violazioni, da parte degli Stati, delle norme della CEDU si può accedere, ordinariamente, previo esaurimento dei mezzi di ricorsi interni (art. 35 CEDU). Andrebbe così preliminarmente concluso il processo nazionale.
Ciò nondimeno, va ricordata la giurisprudenza della Corte richiamata in maniera chiara nella sentenza relativa al caso Scoppola:
l’obbligo derivante dall’articolo 35 si limita a quello di fare un uso normale dei ricorsi verosimilmente effettivi, sufficienti e accessibili (Sofri e altri c. Italia (dec.), no 37235/97, CEDH 2003-VIII). In particolare, la Convenzione prescrive soltanto l’esaurimento dei ricorsi che siano al tempo stesso relativi alle violazioni incriminate, disponibili e adeguati. Essi devono esistere con un sufficiente grado di certezza non soltanto in teoria ma anche in pratica, senza che manchino loro i necessari caratteri di effettività e accessibilità (Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Recueil 1998-I). Inoltre, secondo i «principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti», alcune particolari circostanze possono dispensare il ricorrente dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne per lui disponibili (Aksoy c. Turchia, 18 dicembre 1996, § 52, Recueil 1996-VI)” (sentenza Scoppola c. Italia [GC], ricorso n. 10249/03, sentenza del 17 settembre 2009, par. 63).
Detto altrimenti, qualora la sospensione sine die della prescrizione ritardasse in maniera irragionevole la possibilità concreta di “esaurire” i ricorsi interni, la stessa giurisprudenza della Corte europea ammetterebbe la proponibilità di un ricorso anche prima della conclusione del processo nazionale.

(Italiano) ***ARTICOLO*** “La Riforma del Giudizio Abbreviato: possibili profili di incostituzionalità”, Avv. Mirco Consorte

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(A cura dell’Avv. Mirco Consorte (Foro di Torino). N.B.: Le opinioni espresse sono presentate a titolo personale dall’Autore e non riflettono necessariamente la posizione di IgiTo sul tema esposto. Le informazioni presentate hanno carattere generale e divulgativo e non sostituiscono in alcun modo l’assistenza di un professionista. Per informazioni: info@igito.it)
Il Senato della Repubblica in data 2 aprile ha approvato il disegno di legge licenziato dalla Commissione Giustizia il 5 marzo con il quale si reintroduce nell’ordinamento l’ostatività alla richiesta di giudizio abbreviato in relazione ai reati puniti con la pena dell’ergastolo.
Infatti è il caso di parlare di “reintroduzione” di tale previsione in quanto già la formulazione originaria dell’art. 442, co. 2, c.p.p. non consentiva l’accesso al rito deflattivo per i reati puniti nel massimo edittale della sanzione con l’ergastolo.
Dall’entrata in vigore dell’attuale codice di rito nel 1989 le questioni di legittimità costituzionale vennero subito poste, sia in relazione a cotale previsione, sia in relazione alla già annosa questione della legittimità intrinseca della pena perpetua (che non appare il caso di trattare in questa sede).
La Corte Costituzionale affrontò il problema dichiarando illegittima la formulazione dell’art. 442 c.p.p. al comma 2 asserendo che “la caratteristica del giudizio abbreviato risiede proprio nell’incentivo, offerto all’imputato, di una riduzione della pena, in funzione di un più rapido svolgimento del processo, a deflazione del dibattimento. Con il mettere in discussione la possibilità di operare tale riduzione per una certa categoria di delitti, viene necessariamente messa in discussione anche la possibilità di avvalersi di quel procedimento speciale” (così la sentenza n. 176 del 1991).
Il parametro sul quale si incentrò la Consulta in allora fu la violazione dell’art. 76 Cost. in relazione al travisamento delle legge delega per la redazione del Codice di Procedura Penale stesso.
Vi è, poi, stato un tentativo di reintroduzione dell’impossibilità di accedere al rito durato il breve volgere di poco più un anno solare tra la promulgazione dell’art. 30, comma 1, lett. B), della Legge 479/99 e l’intervento dell’art. 7 del  Decreto-Legge 241/2000, convertito con la Legge n. 4/2001; in tale caso la previsione fu modificata ancor prima dell’instaurazione di un procedimento di legittimità costituzionale, pur tuttavia l’assai breve periodo di vigenza fu sufficiente per far sanzionare l’Italia da parte della Corte Europea de Diritti dell’Uomo nel 2000 con il celebre “caso Scoppola” con riferimento alle connesse problematiche di diritto intertemporale nell’applicazione pratica e nei rimedi della rimessione in termine per la richiesta del rito alternativo.
Le odierne questioni sul diritto intertemporale sono, per il momento, da lasciare da parte, ma occorre domandarsi sulla costituzionalità della modifica appena approvata.
Posto, in primo luogo, che la Corte Costituzionale del 1991 ebbe, in un certo qual modo, un gioco più facilitato di quella odierna, potendosi porre in maniera molto lineare e sintetica la questione sul travisamento della Legge Delega alla redazione del codice stesso, oggi potrebbe, ad avviso nostro, portare tale percorso argomentativo ad una eccesiva e pericolosa “acrobazia motivazionale”, se ci è consentito definirla così.
Tuttavia, pur dovendo andare oltre la violazione dell’art. 76 Cost., si possono, già ictu oculi, notare taluni profili di ulteriori violazioni del dettato costituzionale.
Un primo parametro potenzialmente violato è quello di cui all’art. 3 Cost., ossia una palese differenziazione di trattamento tra soggetti che nel momento in cui sono tratti a giudizio hanno diversi diritti di accesso ai riti alternativi a seconda dei reati a loro contestati – ed in tal senso sarebbero anche da affrontare le ostatività per l’accordo sulla pena di cui all’art. 444 c.p.p. ed per il reintrodotto concordato in appello previsto all’art. 599 bis c.p.p. ; anche la “ragionevolezza” che deve essere propria di ogni atto normativo non appare essere rispettata, sia per le argomentazioni che si sono già affrontate, sia per le difficoltà pratiche che si manifesteranno durante l’applicazione della nuova previsione. Si pongono, infatti, questioni nei processi con più imputati oggettivamente o soggettivamente connessi tra loro e che dovrebbero tutti necessariamente affrontare il dibattimento per poi, all’esito dello stesso, avere la Corte d’Assise impegnata in un laborioso lavoro di differenziazione delle posizioni a seconda dei reati, nonché delle valutazione sull’accesso alla deflazioni per quei casi in cui le cosiddette “aggravanti da ergastolo” vengono meno diventando, dunque, recuperabile l’iniziale riserva di accesso alla deflazione (quest’ultimo aspetto è laborioso già nei casi di processi ad un singolo).
Altro profilo di incostituzionalità appare evidentemente essere quello della violazione dell’art. 111 Cost. con riferimento sia ai tempi processuali, sia alla valutazione intrinseca della definizione stessa di “giusto processo”; le problematiche pratiche di cui sopra appaiono poter confliggere con lo spirito stesso del giudizio abbreviato come estrinsecazione della volontà di essere giudicato “allo stato degli atti”, di fronte ad un possibile recupero post dibattimento della deflazione come regola abituale (e non come eccezione residuale).
Per quanto concerne le tempistiche processuale va rilevata la endemica difficoltà dei tribunali italiani a formare i collegi delle Corti d’Assise; il problema non è di poco conto se si tiene conto che le ultime statistiche ufficiali parlano di un accesso pari a quasi il 70% per i reati puniti nel massimo con l’ergastolo. Il dibattimento in Assise è sempre lungo e complesso con tempi di svolgimento non indifferenti proprio per la complessità e la delicatezza dei reati trattati ed anche, più materialmente, per la difficoltà di composizione dei collegi e, dunque, si rischia l’esposizione a procedimenti per violazione della Legge Pinto ed a sanzioni da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Le prossime ed imminenti applicazioni pratiche della nuova riforma saranno il termometro per le certe questioni di legittimità che verranno poste dai difensori.

***ARTICOLO*** “Note sulla riforma dell’Ordinamento penitenziario” – Avv. Mirco Consorte

(By Avv. Mirco Consorte (Foro di Torino). Important note: The opinions expressed are presented by the Author as a personal opinion and do not necessarily reflect the point of view of IgiTo on the addressed matters. The information provided is general, has divulgative purpose and does not substitute the assistance of a professional. Information at info@igito.it)
Con i Decreti Legislativi 123 e 124 del 2 ottobre 2018 (pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 26.10.2018) si è provveduto a modificare alcuni articoli dell’Ordinamento Penitenziario.
In realtà la portata innovativa dei due decreti è assai minore rispetto a quella prospettata dalla Legge delega ed auspicata dagli operatori del settore.
Interessante ed importante la modifica sotto il profilo dei principi generali, in particolar modo le modifiche all’art. 1 in relazione alla dignità della persona detenuta ed al divieto di usare violenza fisica e morale da parte degli operatori, soprattutto nell’ambito dei provvedimenti disciplinari, anche se la necessità di ribadire normativamente diritti fondamentali di tal tipo svela alcune situazioni di fatto negli istituti penitenziari poco edificanti anche con riferimento alle funzioni e finalità costituzionalmente previste della pena.
Appare un’intenzione di miglioramento dell’edilizia penitenziaria sia sotto il piano dei servizi fondamentali, sia sotto con riferimento alle attività rieducative e lavorative, pur tuttavia con una decorrenza a partire dal 21 dicembre 2021 che appare fiaccare qualunque speranza di un mutamento immediato dell’attuale situazione.
Le modifiche dal punto di vista sanitario sono state apportate solo sotto il piano della salute fisica tralasciando completamente l’aspetto “mentale” preveduto dalla Legge delega, nel cui ambitopermane solo la modifica nominalistica degli O.P.G. in R.E.M.S., ma che sotto l’applicazione pratica poco muta.
Totalmente omesso è stato l’argomento relativo al diritto all’affettività del detenuto, pur essendo stato uno dei principali oggetti dei lavori preparatori alla Legge delega; sembrerebbe – ma è da verificarne nei prossimi mesi l’interpretazione pratica – che tale aspetto sia stato inserito con riferimento all’esecuzione minorile.
La previsione di un autonomo corpo normativo per l’esecuzione minorile compare con 43 anni di ritardo rispetto a quella ordinaria e la cui completa indipendenza applicativa dovrà essere verificata dagli Uffici e dai Tribunali di Sorveglianza per i Minorenni nei prossimi periodi; pur tuttavia la riforma in merito rappresenta un notevole passo in avanti, anche se fiaccato dalla mancata esclusione dell’ostatività ai benefici delle condanne inerenti reati di cui all’art. 4 bis o.p., come previsto originariamente.
Per quanto concerne l’aspetto procedurale della Sorveglianza si sottolinea l’inserimento della possibilità di decisioni de plano da parte del Magistrato di Sorveglianza in relazione a richieste di benefici penitenziari da parte di condannati liberi con pene sotto i 18 mesi e con riferimento alle istanze di sospensiva dell’esecuzione; occorre, ovviamente, vederne l’applicazione pratica e gli eventuali – se esistenti – benefici di sgravio del lavoro dei Tribunali di Sorveglianza, ma non si può non temere una ulteriore compressione del diritto di difesa, in particolar modo con esclusione del diritto di interlocuzione da parte del difensore in situazioni controverse nel caso di mancata rimessione all’udienza collegiale partecipata da parte del Magistrato di Sorveglianza.
Infine si deve sottolineare l’assenza totale di interventi di “potenziamento” delle misure alternative alla detenzione in carcere e degli Uffici di Esecuzione Esterna (U.E.P.E.) che sembra andare di pari passo con l’incremento di reati inseriti tra gli ostativi ai benefici nell’art. 4 bis o.p (con prospettive di ulteriori inserimenti nei prossimi mesi) – la cui costituzionalità dovrà essere verificata a breve – e che, inevitabilmente, comporteranno un ulteriore incremento della popolazione carceraria; in tal senso la situazione è drammatica essendo le carceri italiane già in sovraffollamento con percentuali che si aggirano intorno al 35-40% e, dunque, ponendosi l’Italia nuovamente a rischio di sanzioni da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per le condizioni in cui versano le persone private della libertà personale.
 

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